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Questo percorso, sviluppato a “quattro mani”, corre sicuramente il rischio di essere considerato molto ambizioso, quando non addirittura rivelativo-profetico nelle sue premesse. Ma è un rischio, questo, che abbiamo ponderato a lungo, e che, alla fine, abbiamo deciso di correre. Come sappiamo, è comunque assai rischioso finire negli “artigli del diavolo filosofico” parlando di ontologia…
In realtà questo testo è nato da una profonda convinzione sulla quale ci siamo incontrati entrambi, pur essendo psichiatri clinici appartenenti a due distinte generazioni di psicopatologi: che la schizofrenia fosse un pianeta diverso e lontano da tutto il resto della galassia psicotica.
Per questo non saremo mai sufficientemente grati a Eugen Bleuer il quale, ormai oltre un secolo fa, isolò dal mainstream della kraepeliniana dementia praecox proprio il fenomeno schizofrenia, anche se lo fondò su basi diverse da quelle esposte in questo testo.
Questo tentativo di isolare e specificare le fondamenta di un determinato disturbo, come quello schizofrenico, distinguendolo nettamente da tutti gli altri, potrebbe sembrare alquanto velleitario, in assenza di precisi marker biologici e di convalidati e condivisi cluster psicopatologici. Tutto questo appare, invece, meno velleitario, se si segue un’altra logica, che qui cerchiamo di proporre: quella dell’esistenza di precisi marker trascendentali capaci di confermare la presenza e la qualità di un disturbo come quello schizofrenico. Ovvero una sorta di “organizzatori filosofici di primo rango”, in grado di dare ragione dell’etiopatogenesi di una sindrome che apparirà, poi, sul piano fenomenico-ontico, quantomai variabile, ma cionondimeno riconoscibile da – e riconducibile a – un comune denominatore fenomenologico-ontologico.
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